La corsa dell’Emiro
Se rimani fermo troppo a lungo, muori. E’ la regola aurea di qualsiasi intrapresa capitalistica. Ha ispirato il rampantismo yuppie saccheggiato a piene mani da Hollywood ( chi non ricorda il mitico Gordon? ). E’ stata la stella polare della New Economy che nella prima metà degli anni Novanta ha proiettato nell’olimpo dei multimiliardari la generazione di nerd che ha colonizzato la Silicon Valley. Vale forse più che mai oggi. Di fronte a una prospettiva di recessione globale senza precedenti, chi si ferma è perduto. Al di là della mano statale – che può e deve intervenire oliando gli ingranaggi della macchina economica per farla ripartire – è agli ‘spiriti animali del capitalismo’ che si chiede un colpo di coda per tenere in piedi il sistema. Riconversione della produzione, ripianificazione delle strategie aziendali, ripensamento dei prodotti, dei target, della loro collocazione sul mercato. Queste le parole d’ordine per cercare di giocare la partita della sopravvivenza.
Un esempio paradigmatico di questo spirito di adattamento viene dalle sabbie dorate del Golfo Persico, e da uno delle sette perle che compongono gli Emirati Arabi Uniti. Con meno di un ventesimo delle riserve petrolifere del fratello maggiore Abu Dhabi, la storia economica dell’emirato del Dubai si è progressivamente smarcata dal destino degli idrocarburi, specializzandosi nel turismo di alta gamma e soprattuto nel ramo immobiliare.
Nel 2006 sui 3.800 km quadrati della superficie di Dubai (circa 80 volte più piccola di quella italiana) erano dislocate il 23% delle gru da costruzione di tutto il mondo. Un rapporto strabiliante, che dà solamente l’idea di quello che sta accadendo in quella zolla desertica. Per il resto bastano alcuni nomi: Palm Jumeirah, Palm Jebel Alì – Waterfront, Palm Deira, The World, Atlantis.
Suggestioni esotiche che nascondono la più vasta, costosa, ambiziosa campagna di ingegneria urbanistica che l’uomo abbia concepito dai tempi delle piramidi.
Deserto e acqua, gli elementi più ostili agli insediamenti umani, diventano risorse. Milioni di metri cubi di sabbia hanno strappato all’acqua migliaia di metri quadrati edificabili. Sono nate così le tre palme, micro-città costituite da un insieme di quartieri esclusivi collegati direttamente alla terraferma. E allo stesso tempo un piano di sviluppo economico che secondo le previsioni dell’emiro Mohammed bin Rashid Al Maktum dovrebbe fare di Dubai non solo il crocevia del turismo più esclusivo del pianeta, ma anche un bacino di raccolta per gli investimenti provenienti dai quattro angoli del mondo. E proprio il mondo è il tema scelto per una delle ‘follie’ che hanno avuto maggior successo sul mercato.
Trecento isolotti, ognuno dei quali con le fattezze di una nazione, raggruppati nei 5 continenti, e visibili dall’aereo e dal satellite.
Il 2009 sarà l’anno della definitiva svolta verso il ‘verticismo’ architettonico. In tutti i sensi.
La ‘One mile tower’, 1600 metri di altezza per polverizzare ogni record, l’unico edificio al mondo che avrà in funzione l’aria condizionata nei piani inferiori e il riscaldamento per quelli superiori contemporaneamente, e nel quale un appartamento potrà toccare anche i 30 mila dollari al metro quadrato, è il progetto di punta degli urbanisti dell’emirato. Lusso stremo tecnologie ‘stressate’ fino al limite. La ricetta di una città-stato da 1,5 milioni di abitanti per ritagliarsi uno spazio nella nuova geografia economica che emergerà dalla crisi in atto. Quando, ancora non è dato saperlo. L’importante è non rimanere fermi ad aspettare.